14 cose che abbiamo imparato nel terzo anno senza Cruijff

Uno. L’Olanda è tornata, o almeno tutto fa pensare che lo sia. Quattro mesi dopo il Mondiale cui non ha partecipato, la squadra allenata dall’allievo (non ortodosso) Ronald Koeman prima lotta e perde in casa della Francia campione del mondo, poi batte 3-0 gli eterni rivali della Germania in quella che più che una partita è una lezione di calcio. Troppo bello per essere vero?

Due. Che Frenkie de Jong fosse bravo lo sapevamo già. Che fosse così bravo, forse. Ma che a ventun anni sapesse spiegare il suo gioco nel linguaggio del calcio totale, è forse la cifra che conferma la sensatezza del super investimento del Barcellona. «Cerco sempre di avere in mente l’immagine del campo con le posizioni dei miei compagni». Chapeau.

Tre. Il calcio di Cruijff conquista l’Inghilterra. Lo fa grazie all’erede Pep Guardiola, che alla sua seconda stagione alla guida del Manchester City smentisce quanti sostenevano che quel suo calcio di possesso palla e ampi fraseggi non avrebbe retto alla forza d’urto della pressione estrema della Premier League. Peccato che a dieci anni esatti dal suo debutto come allenatore al Barcellona B, Pep abbia saputo modificare il modo di giocare delle sue squadre, pur restando fedele alla sua filosofia. E in Inghilterra qualcosa è cambiato.

Quattro. Lo conferma il fatto che, almeno fino a un certo punto, la squadra che ha giocato più e meglio a calcio agli ultimi Mondiali è stata proprio l’Inghilterra di Gareth Southgate. Sulla scia di quanto di sorprendente visto ai Mondiali Under 20 – che gli Inglesi hanno vinto giocando un insolito ma efficace calcio di possesso – anche in Russia l’Inghilterra si è fatta apprezzare per i fraseggi e le combinazioni offensive, almeno fino a quando non ha cominciato a farsi del male da sola.

Cinque. Nei salotti calcistici – tutti rigorosamente maschili – va di moda propugnare il ritorno alla difesa a uomo a tutto campo.

Sei. Ancora su Frenkie de Jong, interviene Arie Haan, quello del gol a Zoff a Argentina ’78. «Può diventare meglio di Beckenbauer», dice all’indomani della partita in Nazionale che Frenkie gioca da centrale di difesa accanto a Daley Blind, in sostituzione dell’amico Mattijs de Ligt. E spiega: «D’altra parte, in Olanda insegniamo da anni ai centrocampisti a giocare in difesa, e il primo sono stato proprio io ai Mondiali del ‘74».

Sette. L’Olanda è vicina. Vicinissima. Confina con il lato nord del parco di Villa de Sanctis, dove un campo fino a poco tempo fa incolto adesso è un tappeto di tulipani, grazie all’iniziativa Tulipark.

Otto. L’Ajax, questo Ajax. Giovane come la pioggia, bello ma non terribile. Questo Ajax che trent’anni dopo la semifinale che mandò quell’Ajax a giocarsi la sua prima finale di Coppa dei Campioni, torna a incrociare il Real Madrid. In casa incanta e perde, ma al Bernabeu fa un capolavoro che costa il posto a Santiago Solari, passando 4-1 con un monumentale Dusan Tadic. Arrivavano da tutte le parti, è il miglior riassunto di quella notte. Questo Ajax è figlio della Velvet Revolution.

Nove. Daley Blind is een echte Ajacied. E infatti è tornato a casa.

Dieci. A proposito di Real Madrid. Prima Florentino Perez annuncia l’ingaggio del commissario tecnico della Nazionale (e allievo di Cruijff) Julen Lopetegui a due giorni dal debutto ai Mondiali, ne causa l’esonero e di fatto manda all’aria la spedizione in Russia di una squadra che con quei giocatori e con il calcio di assoluto dominio fatto vedere durante le qualificazioni avrebbe avuto ottime possibilità di giocarsi il titolo. Poi caccia lo stesso Lopetegui per dare la squadra a Solari, nella speranza che gli riesca un altro colpo alla Zidane. Gli va male, e allora riecco Zizou. Aberrazioni da dipendenza dai risultati.

Undici. Dopo sessant’anni si è giocato un Mondiale senza l’Italia – e considerando quanto si era visto nella gestione Ventura, non se ne è sentita la mancanza.

Dodici. Il Borussia Dortmund magari alla fine non vincerà la Bundesliga perché pagherà qualche errore di gioventù, ma che spettacolo il pressing altissimo di Lucien Favre, già visiting student presso il Barcellona di Cruijff.

Tredici. A insindacabile giudizio del solito France Football, Rinus Michels è il miglior allenatore della storia del calcio. Menzione di lode a quanti lo hanno descritto come l’uomo che ha inventato il calcio totale olandese “a metà degli anni Sessanta”. Quello che è successo negli anni Settanta era solo il riflesso psichedelico del lavoro di quegli anni di laboratorio.

Quattordici. Amsterdam non dimentica. Dopo aver ribattezzato lo stadio dell’Ajax “Johan Cruijff Arena” e aver reso omaggio a Johan mettendo le sue stesse parole su un bel murales, la città gli ha dedicato una fermata del tram e si parla di una statua in centro. Non dimentica neanche Barcellona, dove un’ala dello sconfinato museo blaugrana da qualche mese è dedicata a Cruyff. Che è con noi, sempre.

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