1932. La prima volta dell’Ajax a Stamford Bridge

La quarta giornata della fase a gironi della Champions League 2019/20. Per le statistiche resterà questa la prima volta dell’Ajax a Stamford Bridge, eppure per la storia un precedente esiste e non è esagerato dire che abbia contribuito a rendere possibile la prima volta delle statistiche. 7 dicembre 1932 – magari non è un caso neanche questo, ché certe serate che ti aprono gli occhi per l’Ajax succedono il 7 dicembre, come nel 1966. Sette dicembre millenovecentotrentadue, allora. Da Amsterdam la squadra che detiene il titolo nazionale olandese, ma che ancora non gioca al De Meer, perché il suo storico stadio è poco più di un progetto e sarà inaugurato solo due anni più tardi, attraversa la Manica per una trasferta a Londra. In realtà il calendario non lo permetterebbe – solo ventiquattr’ore prima della partita ha giocato e vinto 2-0 con lo Stormvogels – eppure l’allenatore è dell’idea che ne valga la pena. Anche perché la partita in programma a Stamford Bridge, quelli dell’Ajax non devono giocarla, ma guardarla con attenzione. Con estrema attenzione, in effetti. Per l’allenatore Jack Reynolds, che se non fosse per l’accento sarebbe ormai un completo Amsterdammer, è un ritorno a casa senza nostalgia, tanto più che in questo 7 dicembre non è mica per andare a veder giocare gli inglesi che decide di spostare il suo Ajax. Quello che i suoi ragazzi devono guardare è una meraviglia o un miracolo, o un po’ entrambe le cose: il Wunderteam.

Hugo Meisl, manager plenipotenziario della nazionale austriaca, visto che si occupa di tutto, dalle convocazioni all’organizzazione delle partite e perfino delle competizioni internazionali, ci ha messo quasi un anno di paziente lavoro diplomatico, ma alla fine ce l’ha fatta: l’Austri affronterà in amichevole i maestri dell’Inghilterra in casa loro. L’unica piccola delusione è lo stadio: non si gioca a Wembley – troppo grande, troppo prestigioso – ma a Stamford Bridge, nel cuore dell’elegante Royal Borough of Kensington and Chelsea. A fare gli onori di casa c’è il solito infaticabile Jimmy Hogan, primo consigliere di Meisl e punto di riferimento tecnico dell’Austria. È lui che si occupa della pianificazione e gestione degli allenamenti, per tutto il resto che se la veda Hugo. Il quale Hugo non sta nella pelle all’idea di far cimentare i suoi contro gli inglesi, non solo perché del calcio d’Oltremanica è da sempre un grande ammiratore, ma perché è legato da profonda amicizia all’uomo che proprio in questi anni sta rivoluzionando il beautiful game: Herbert Chapman siede da otto anni sulla panchina dell’Arsenal e da due porta avanti una rivoluzione tattica decisiva per gli sviluppi del calcio europeo. Chapman ha avuto l’intuizione di spostare il baricentro della squadra dalla linea di centrocampo a quella di difesa, perché è da lì che tutto comincia: il centre-half è diventato centre-back, la piramide è scivolata nel WM. Le implicazioni dell’aggiunta di un terzo difensore (il third back, appunto) sono molteplici, dalla prospettiva forse troppo moderna della costruzione dal basso alla possibilità di far scivolare i due difensori ai suoi lati verso le fasce (ed è per questo che i due esterni di difesa in italiano vengono ancora oggi chiamati “terzini”, anche se si gioca prevalentemente a quattro). Hugo Meisl, pur tenendo nella massima stima gli esperimenti dell’amico Chapman, non se l’è sentita di trasportarli sul Continente, dove le squadre si attengono ancora tutte alla piramide. Lo stesso vale per Jack Reynolds, che pure di Chapman è connazionale: il suo Ajax resta fedele al modulo con due difensori, che in un campionato ancora modesto e rigidamente amatoriale come quello olandese non ha motivo di essere ritoccato.

La nazionale inglese, mai battuta sul suolo dell’Isola, è guidata da una commissione federale che non ha ancora recepito il WM, mentre nella piramide di Jimmy Hogan c’è un giocatore, il venticinquenne Walter Nausch dell’Austria Vienna, che renderebbe superfluo un centre-back: Nausch non è solo il difensore più elegante d’Europa, ma possiede anche una visione di gioco tale che quando è arrivato all’Austria i suoi allenatori non riuscivano a decidere dove schierarlo perché sapeva fare tutto.

È forse questo che Jack Reynolds vuole che i suoi giocatori guardino, l’intelligenza elegante di Walter Nausch, così importante nel gioco di possesso della scuola viennese, così lontano dal kick ‘n rush che pure lo zio Jack non ha mai amato. Che l’Ajax guardi e impari dai migliori d’Europa – e non sono mica gli inglesi. Che veda come si passano il pallone con precisione – perché il primo controllo è la cosa più importante, dice Jimmy Hogan. Come si parlano, si cercano, giocano insieme – perché non importa se un passaggio è lungo o corto, importa solo che sia giusto per la squadra, dice sempre Jimmy. E poi ci sarebbe quel centravanti, Matthias Sindelar, talmente magro che lo chiamano Cartavelina. In realtà ha un tiro potente con entrambi i piedi, segna di testa e soprattutto gioca con la squadra, con una leggerezza e una facilità che fanno impazzire Jimmy Hogan, convinto che nel calcio non si possa vivere di sola intuizione. Ma i movimenti, gli spazi che Sindelar lascia ai compagni di reparto Gschweidl e Zischek valgono il viaggio da Amsterdam.

I giocatori di Reynolds non hanno la classe dei viennesi, eppure, come già aveva constatato lo stesso Jimmy Hogan una ventina d’anni prima, i calciatori olandesi sono capaci di apprendere velocemente. Ma una cosa è spiegare il gioco di possesso, tutt’altra è farlo vedere. Il 7 dicembre 1932 l’Ajax ha letteralmente sotto gli occhi il calcio del suo futuro. A Stamford Bridge, di fronte a 42.000 spettatori, l’Inghilterra la spunta 4-3, ma come scrive il Times, “It was a victory and no more.” Sono i viennesi a incantare Londra e solo la sfortuna nega loro il pareggio. Alla fine sono tutti contenti: gli inglesi che continuano a credere che la loro imbattibilità non avrà fine, Hugo Meisl che ha ottenuto per la sua splendida squadra il palcoscenico che meritava e Jack Reynolds, che ha fatto vedere all’Ajax qual è la strada da seguire per poter tornare a Stamford Bridge ottantasette anni dopo, stavolta in campo, ma sempre per la meraviglia.

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