Le cinque giornate di Kimmich. Breve storia di uno scandalo

Giorno uno, l’emergenza. Giorno due, l’adrenalina. Giorno tre, il rifiuto. Giorno quattro, lo sfinimento. Giorno cinque, chi è di scena. Si potesse descrivere il decorso di un processo tattico come fa la medicina, che gran caso di studio sarebbe Joshua Kimmich. Il centrocampista centrale che diventa centrale di difesa – che a guardare bene altro non è che la vecchia idea del centre-half arretrato a third back, copyright by Herbert Chapman 1930. Ma cos’è che ancora scandalizza in un’idea di ottant’anni fa? E perché allo stesso tempo continua a esercitare un fascino così irresistibile? È per rispondere a queste domande che vale la pena considerare da vicino il caso Kimmich, la più recente e fortunata trasformazione in centrale di un centrocampista che il calcio europeo abbia conosciuto. Con un’attenzione particolare alla tempistica, perché, come si vedrà, mentre altri giocatori hanno a disposizione per lo stesso processo un periodo più o meno lungo, nel caso del giovane giocatore del Bayern Monaco, succede tutto in cinque giorni.

Il 28 gennaio 2016 Javi Martinez si presenta a Säbener Straße, quartier generale dei campioni di Germania, e comunica al suo allenatore che ha deciso di andare a Barcellona a farsi operare al ginocchio, perché il dolore è diventato insopportabile. Pep Guardiola – l’allenatore, appunto – perde così anche l’ultimo dei centrali a sua disposizione, meglio, l’ex centrocampista che lui stesso aveva fatto diventare un difensore centrale con centinaia di esercizi individuali e simulazioni personalizzate al suo primo anno sulla panchina del Bayern. La notizia del forfait dello spagnolo arriva con la squadra già in campo per l’allenamento, così Guardiola non ha tempo di consultarsi con i suoi collaboratori. «Che al centro giochi Kimmich», dice al suo vice Doménec Torrent, che subito consegna al ragazzo una pettorina arancione e gli ordina di cambiare squadra nella partitella che sta per iniziare. Il suo nuovo compito sarà quello di guidare l’uscita del pallone dalla difesa con lo scopo di servire il capitano Lahm, che nel frattempo sarà avanzato nel cerchio di centrocampo. Praticamente un’improvvisazione, ben ricostruita nel libro di Martí Pernau “Pep Guardiola – La metamorfosis”. Ma chi è Joshua Kimmich? Uno studente liceale non ancora ventenne, arrivato al Bayern l’estate prima dallo Stoccarda senza aver mai giocato un minuto con gli svevi. Due terzi (forse anche qualcosa di più) dei tifosi di calcio tedeschi lo hanno in aperta antipatia a causa dei suoi precedenti nell’RB Lipsia, dove RB sta per quella nota bevanda che mette le ali e anche parecchi soldi nelle tasche dei club che sponsorizza. Nel fisico Kimmich ricorda molto il giovane Guardiola: non particolarmente alto, tutt’altro che potente. Un diciannovenne normale, di cui non si parla per qualche auto sfasciata, quanto per la media dell’8 agli esami di Maturità, “eins komma sieben”, come lo costringeranno a ripetere per ben due volte i giornalisti presenti alla sua prima conferenza stampa in nazionale maggiore. Praticamente un secchione. Ma è esattamente questo ciò di cui ha bisogno Guardiola per venire a capo nel minor tempo possibile di una situazione di emergenza totale: concentrazione e applicazione assoluta.

Giorno uno, Kimmich si mette in mezzo alla difesa accanto a Badstuber e comincia a esercitare questa benedetta uscita di palla con tre difensori, che Guardiola ha eletto a filo conduttore della sua terza stagione al Bayern: «Uscendo con due giocatori a volte i passaggi devono essere molto lunghi perché i due sono lontani fra loro. Con tre  gli scambi sono più corti, quindi più rapidi e più precisi e l’uscita è più sicura». Due partitelle da 12 minuti ciascuna, e Pep non si allontana un secondo da Kimmich che, attaccato da Müller e Coman, soffre ma non si arrende. «Linea, Josh, linea! Non indietreggiare, vai avanti!», le urla di Guardiola si sentono fin dal parcheggio. Kimmich deve guardare il suo vicino Badstuber per restare allineato a lui, ma anche non perdere di vista il movimento di Lahm, perché è fondamentale che il passaggio non gli arrivi troppo tardi o troppo presto. Perde l’orientamento, gli gira visibilmente la testa. Ma resta in piedi e ci riprova. Ancora. E ancora. Lo staff di Guardiola osserva a bordo campo: «Lo imparerà in quattro giorni», profetizza Torrent, «E come tocca bene il pallone!», osserva l’analista Charles Planchart, «Ha talento, lo imparerà», conclude il preparatore Lorenzo Buenaventura. Alla fine arriva Pep, grattandosi la testa: «Lo può fare – è il suo verdetto – Non sarà facile perché deve imparare a tenere a mantenere la linea, ma lo può fare ».

Giorno due, e Guardiola ripensa a Javier Mascherano e a quando gli ha chiesto di fare il centrale non in una partita qualsiasi, ma nella finale di Champions League del 2011 a Wembley. Kimmich ha più o meno il suo fisico, ma gli mancano il temperamento argentino (e non è detto che sia un male) e soprattutto l’esperienza. Intanto quando l’allenamento finisce, Joshua invece di tornare a casa a fare i compiti, riceve lezioni private di movimenti difensivi da Torrent e da Pep in persona. Pensano a Mascherano, poi guardano Kimmich e si strizzano l’occhio: il ragazzo è giovane, impara in fretta, ha una visione panoramica eccellente ed è bravo con i piedi, tutte qualità in più rispetto all’argentino. È disciplinato, ma deve studiare.

Giorno tre, e a Kimmich gira la testa. Una cosa è fare quest’uscita benedetta in allenamento, tutt’altra riuscire a farla in una partita vera, una partita di Bundesliga, pressato dagli attaccanti avversari, con tutto lo stadio che ti guarda. Lo sanno anche Guardiola e i suoi: «Certo se va male, rischiamo di bruciarlo… Ma se lui ha il coraggio di provarci, io avrò il coraggio di schierarlo».

Giorno quattro, è venerdì e mancano meno di ventiquattr’ore alla partita in casa contro l’Hoffenheim, ottavo in classifica. Dall’inizio della settimana, Kimmich ha assorbito un numero di concetti tattici che normalmente richiederebbe un centinaio di sedute in campo e almeno il doppio di sessioni video personalizzate. Se non fosse a Barcellona, si potrebbe chiedere a Javi Martinez quante volte ha sentito Guardiola ripetergli la frase “Vale, ahora otra vez!”. Al giovane Joshua raramente hanno dovuto spiegare le cose due volte.

Giorno cinque, e l’esperimento funziona. Pep comincia a pensare che potrebbe sopravvivere all’emergenza. La prova del fuoco è la trasferta di Leverkusen in casa del Bayer, dove Kimmich se la deve vedere con quel marcantonio di Stefan Kießling. Nel complesso, il ragazzo gioca le successive 7 partite al centro della difesa (il che equivale al guardiola-cropped_1s0zm6l6m3xus1iktngi5g49ymsuo ottavo ruolo stagionale, ma questo è un altro discorso), inclusa la sfida da brividi con la Juventus in Champions League e il pareggio senza gol in casa del Borussia Dortmund, passato alla storia per il discorsetto a portata di telecamere che Guardiola gli fa direttamente al fischio finale, senza smettere nemmeno per un secondo di guardarlo dritto negli occhi, come se ne andasse della sua vita stessa. «Non era molto contento dei miei ultimi 5 minuti – ha spiegato Kimmich in un’intervista a FourFourTwo, che lo ha votato miglior giovane del mondo per il 2016Non ero salito rapidamente come avrei dovuto».

Emergenza, adrenalina, rifiuto, sfinimento, chi è di scena. I cinque stadi dell’apprendistato del centrocampista che diventa centrale sono esemplificati al massimo da Kimmich perché nel suo caso l’apprendimento dura cinque giorni appena, ma forse non è troppo azzardato supporre che fossero contenuti già nell’esperienza senza la quale Guardiola avrebbe dovuto cercarsi un’altra soluzione all’emergenza difesa. A poche settimane dall’inizio del Mondiale del 1974, Rinus Michels – chi altri – deve compilare la lista dei convocati per la Germania senza potervi includere l’infortunato Barry Hulshoff, quello che allora si chiamava sweeper e che oggi chiameremmo il regista difensivo dell’Ajax e della nazionale olandese. L’altro centrale del grande Ajax, Horst Blankenburg, non è convocabile in quanto tedesco. Difesa da inventare: Michels potrebbe rilevare i due centrali del Feyenoord, non fosse che lui crede disperatamente nella sua idea di calcio e se con lui l’Olanda tornerà a giocarsi un Mondiale dopo quarant’anni, be’ lo farà andando fino in fondo con quell’idea. Da Rotterdam pesca il nome che nessuno si aspetta, Wim Rijsbergen, che non ha mai giocato una partita in nazionale. Poi fa un ragionamento di questo tipo: se l’idea è che la miglior forma per difendersi sia attaccare, allora il modo migliore per farlo è mettere a dirigere i giochi in difesa un giocatore rapido nel pensiero e preciso nei passaggi, che riesca a trasformare nel modo più pulito ed efficace possibile un movimento difensivo nell’inizio di una manovra d’attacco. Questo giocatore, arie.haannell’Olanda del ’74, è Harie Haan, perno del centrocampo dell’Ajax, che fino a quel momento non ha mai giocato in difesa in vita sua, pur avendo studiato per anni con lo stesso Michels. Alle spalle di Rijsbergen, con Wim Suurbier e Ruud Krol larghi sugli esterni, di fatto diventa il vertice inferiore di un diamante la cui punta è Johan Neeskens – nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma – difesa, attacco – lento, veloce, veloce, lento. Questa è l’intuizione rischiosa che trasforma la mossa di Herbert Chapman, nata come espediente spiccatamente difensivo, in uno strumento offensivo formidabile.

Il primo a capirlo non poteva che essere Johan Cruijff, che ne farà una delle sue lezioni fondamentali in quell’eccezionale centro di formazione per allenatori che è stato il suo Barcellona, e lo realizzerà usando come centrocampista arretrato proprio Pep Guardiola nella semifinale di Coppa Uefa giocata proprio a Monaco contro il Bayern nel 1996. A sua pep.klinsmannvolta Pep ricorrerà a questa soluzione in entrambe le finali di Champions League giocate (e vinte) da allenatore del Barça: con Mascherano nel 2011 e ancora prima con Yaya Touré, arretrato al centro della difesa a Roma nel 2009, al termine di un estenuante dissidio tattico risolto solo in extremis. Quindi il paziente lavoro con Javi Martinez (che almeno il fisico del centrale ce l’aveva) nell’autunno del 2013. Poi Kimmich che dimostra come l’improvvisazione possa essere coltivata. Forse è proprio questo l’elemento che genera tanto scandalo nel ricorso al centrocampista arretrato in difesa, che chi lo fa è come se pretendesse di avere ragione sul libretto di istruzioni.

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