La sedia del presidente. Per Jaap van Praag

Nel numero di Ajax-Nieuws che esce a novembre del 1945, fra le notizie sull’attività della squadra, compare questa nota: “grazie a tutti gli amici dell’Ajax  che mi hanno trattato con grande affetto dopo il mio lungo periodo nascosto. In particolare vorrei ringraziare dal profondo del mio cuore Cor e Jan Shoevaart per il posto che mi è stato garantito nella loro casa accogliente nelle settimane in cui per me il pericolo era più grande”. Firmato Jaap van Praag. Il futuro presidente del grande Ajax usa le pagine della rivista ufficiale del club per dire grazie dell’ospitalità a un ex giocatore e a sua moglie. L’enfasi sulla riconoscenza e l’amicizia dimostratagli quasi zittiscono il riferimento a un “lungo periodo nascosto” al “pericolo più grande”. Ma di cosa parla Van Praag? Da cosa si è nascosto? E quale pericolo ha corso?

Il fatto è che, quando la sera del 9 maggio 1940, il suo amico Piet Smit aveva bussato alla sua porta per proporgli di lasciare Amsterdam per l’Inghilterra, lui aveva detto di no. L’occupazione dell’Olanda da parte della Germania nazista sembrava imminente – le truppe della Wehrmacht avrebbero effettivamente passato il confine di lì a qualche ora – eppure il non ancora trentenne Van Praag non se la sentiva di lasciare la città. I suoi genitori, la sorella Hannie e il fratello Max erano tutti in città e non voleva lasciarli. Non gli piaceva neanche l’idea di abbandonare il lavoro che amava e per il quale aveva dimostrato indubbio fiuto: erede di un’impresa nel settore musicale, Jaap era stato il primo in Olanda a intuire che il grammofono poteva avere un futuro e aveva aperto un suo negozio in centro, che aveva battezzato His Master’s Voice. E poi c’era l’Ajax, la sua squadra del cuore, della quale era socio, come molti nell’ambiente della colta borghesia ebraica di Amsterdam. Si può dire che fossero diventati grandi insieme, lui e l’Ajax, che da ragazzino aveva visto vincere il suo primo titolo nazionale sotto la guida dell’inglese Jack Reynolds.

C’è chi ha detto che in Olanda ci si sarebbe accorti dell’occupazione solo se si era ebrei e si viveva ad Amsterdam. Van Praag era entrambe le cose, ma il fatto che si sentisse cittadino di Amsterdam molto più di quanto si sentisse ebreo non aveva molta importanza. Non ne aveva nemmeno il fatto di aver sposato una gentile, Lenie Genissen, né di non avere grandi rapporti con la comunità ebraica cittadina. Le discriminazioni dell’autunno 1940 diventano persecuzioni all’inizio del ’41, ma è quel punto che ad Amsterdam succede qualcosa che non conosce paragoni in alcuno dei territori invasi dai nazisti: la città si ferma per i suoi ebrei. Il 5 febbraio 1941 il lavoratori di fabbriche, negozi, uffici e mezzi pubblici danno vita a quello che è passato alla storia come “sciopero di febbraio”, un giorno e mezzo di agitazione in segno di solidarietà con gli ebrei. Un gesto unico, ma privo di effetti. Di lì a poco, Jaap van Praag si vede recapitare la lettera di espulsione dall’Ajax, poi è costretto a lasciare il suo amato negozio di dischi. Nella primavera del ’41 arrivano i primi arresti, poi l’operazione diventa sistematica e nel giro di un anno, della storica comunità ebraica di Amsterdam resta solo la sinagoga portoghese, la stessa che trecento anni prima aveva espulso Spinoza, l’eretico del metodo. Per salvarsi si può solo nascondersi e sperare che nessuno faccia la spia.

Nel 1942 anche Van Praag si rende conto di non avere scelta. L’aiuto di cui ha bisogno, gli arriva da quello stesso Ajax che gli ha rimandato indietro la tessera associativa. Da Jan Schoevaart, Tric-Trac per i tifosi, difensore fra il 1910 e  il 1914 e fratello di Frans, prima attaccante e poi presidente del club fra la fine degli anni Venti e l’inizio dei Trenta. Nei giorni in cui i rastrellamenti sono più fitti, Jan “Tric-Trac” Schoevaart e sua moglie Cor aprono la loro casa a Jaap e lo tengono nascosto “nelle settimane in cui il pericolo è più grande”. A un certo punto, però, anche questo rifugio diventa troppo pericoloso, così Jaap è costretto a cercarsi un altro posto. Lo trova in un appartamento al primo piano del numero 517 di Overtoom, una palazzina di mattoni rossi all’estremità sud-occidentale del Vondelpark. Al piano terra c’è un negozio di fotografia, ma i proprietari non sanno dell’inquilino del piano di sopra. Per questo è necessario che Van Praag non dia alcun segno della propria presenza. Ha 32 anni ed è da solo, perché la moglie Lenie non si nasconde con lui. Nella valigia che ha con sé ci sono cinque completi di ottimo taglio e una bandiera dell’Olanda. Ogni giorno, prima che il negozio apra, Jaap si veste di tutto punto, stringe bene il nodo alla cravatta e liscia le pieghe dei pantaloni. Poi va a sedersi su una sedia e lì resta, praticamente immobile, fino a quando di sotto non chiudono. Ogni tanto sente lo sferragliare del tram 23, ogni tanto qualche auto della Wehrmacht. Gli unici movimenti che si concede – scrive la nipote Marga van Praag nel libro dedicato a lui e al fratello Max – sono quelli delle mani che stirano i vestiti. E siccome non può ascoltare i dischi, è la sua mente a suonarli.

Passano due anni e mezzo. Il 5 maggio 1945 le truppe canadesi entrano ad Amsterdam. Due anni e mezzo. Jaap van Praag scende per strada e si trova davanti agli occhi una folla di gente come non s’era mai vista. La rivedrà, una folla così, ventinove anni più tardi, quando l’Olanda guidata dai giocatori dell’Ajax tornerà a casa dopo aver vinto i Mondiali pur senza aver alzato la coppa. Due anni e mezzo. Viene a sapere che i suoi genitori e la sorella minore Hannie sono stati assassinati ad Auschwitz. Nella stessa città, ma lontano da lui, il fratello Max è riuscito a rimanere nascosto insieme alla moglie Sari. La sua di moglie, Lenie, ha una relazione con il suo migliore amico Joop. Due anni e mezzo.

Uscendo dal numero 517 di Overtoom, Jaap van Praag si ripromette due cose. Primo: per il resto della sua vita continuerà a vestirsi di tutto punto ogni giorno. Secondo: vuole mettersi seduto sulla sedia che dice lui, quella di presidente dell’Ajax. Con una vanpraag.michelsdeterminazione senza porte né finestre, riesce a mantenere entrambe le promesse. Nel 1964 si siede al comando della squadra per cui ha sempre fatto il tifo e di cui è socio onorario Jan Schoevaart, «l’uomo che mi ha salvato la vita», come scrive in una nota nel 1968, alla morte dell’ex difensore. È sua l’audace decisione di togliere la squadra a una leggenda come Vic Buckingham e affidarla al trentaseienne Rinus Michels. Lui chiude i primi due contratti professionistici del calcio olandese, quelli di Piet Keizer e Johan Cruijff. Le tre Coppe dei Campioni consecutive fra il 1971 e il 1973 sono tutte sue. Sua è anche la firma sul milionario accordo con cui cede al Barcellona Cruijff. «Non sono mai riuscito a coglierlo mentre diceva la verità», dirà di lui Johan. I fatti dicono che Jaap van Praag è il presidente più vincente della storia dell’Ajax. La verità – forse – è rimasta al 517 di Overtoom.

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