14 cose che abbiamo imparato in un altro anno senza Cruijff

Uno. Un allievo diretto di Cruijff, Ernesto Valverde, fa giocare il Barcellona con un gioco posizionale in cui è il tempo a dare forma allo spazio. Fa fare a Messi cose che alcuni considererebbero lesa maestà e ha la miglior difesa d’Europa. Cruijff gli perdonerà il 4-4-2, forse.

Due. Un allievo indiretto di Cruijff, Peter Bosz, ha portato un giovanissimo Ajax a giocare la finale di una competizione europea per la prima volta dopo ventun anni. Non l’ha vinta, ma non era quello l’essenziale. L’essenziale era dimostrare che, a sei anni dal suo avvio, il “piano Cruijff” cominciava a dare i suoi frutti.

Tre. All’Ajax non imparano mai – d’accordo, questo lo sapevamo anche prima. Dopo aver resistito alla tentazione di una ricca smobilitazione, hanno affidato la prima squadra all’allenatore dello Jong Ajax, il nipote d’arte Marcel Keizer. Senonché è intervenuto l’ennesimo rimescolamento di poteri: prima è saltato l’illustre assistente Dennis Bergkamp, poi l’allenatore, rimpiazzato da Erik ten Hag.

Quattro. Una cosa però all’Ajax la imparano bene, ed è la storia. Matthijs de Ligt, difensore centrale classe 1998, è stato capace di descrivere nel dettaglio il modo di giocare di Barry Hulshoff, ammettendo di averlo “studiato”. Se esistono giocatori così, magari il calcio moderno non è la spazzatura che molti credono.

Cinque. Lo stesso De Ligt è praticamente costato il posto di ct dell’Olanda a Danny Blind, che l’ha fatto esordire da titolare a diciassette anni in una partita decisiva. Sul seggio vacante si è scatenata la solita discussione infinita, finché la nomina di Dick Advocaat, già allievo di Van Gaal, sembrava aver messo tutti d’accordo (tranne forse il solito Robben). Adesso in panchina c’è Ronald Koeman, che negli ultimi tempi stava facendo un po’ troppi esperimenti per i gusti dell’Everton.

Sei. Tre anni dopo il bel terzo posto in Brasile, l’Olanda non si è qualificata ai Mondiali. Quello che abbiamo imparato è quanto ci manchino gli editoriali sul Telegraf.

Sette. Jordi vuole fare l’allenatore.

Otto. Un altro allievo diretto, Julen Lopetegui, ha raso al suolo la nazionale italiana.

Nove. L’Inghilterra ha vinto i Mondiali Under 20 come più inaspettatamente non poteva: con il possession game.

Dieci. L’erede designato, Pep Guardiola, sta spostando la frontiera del calcio totale – e non perché probabilmente vincerà il campionato. Dunque può esistere una via del calcio totale in Inghilterra. E poi che giocatore è diventato Kevin de Bruyne?

Undici. Il centravanti arretrato – da non confondere con il falso Nove, prego – è tornato agli splendori di Nandor Hidegkuti. Il merito è di Edin Dzeko, una delle cose più belle che il calcio europeo abbia da offrire.

Dodici. La Confederations Cup non serve solo per raccogliere sponsor. L’ha dimostrato Joachim Löw, che un anno prima del Mondiale, ha portato in Russia una Germania più che sperimentale negli uomini e nel sistema di gioco. Ha provato cose che forse normalmente non avrebbe provato – schieramenti asimmetrici in parte ispirati a Thomas Tuchel e giocatori dirottati in ruoli inediti. Ne è uscito con una serie di indicazioni interessanti, con un trofeo da mettere in bacheca e soprattutto con gli applausi di pubblico e critica. La Germania non era mai stata così visionaria.

Tredici. Da qualche mese ad Amsterdam esiste Cruijffplein, piazza Cruijff. Si trova di fronte allo Stadio Olimpico, cioè il luogo dove Johan ha giocato la sua partita preferita, quella contro il Liverpool il 7 dicembre 1966.

Quattordici. Forse Guardiola ha ragione. Cruijff se n’è andato, ma non ci ha mai lasciati.

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