Ruud Gullit: «Il privilegio e la fortuna di avere Cruijff nella mia vita»

In traduzione l’articolo di Donald McRae, pubblicato sul Guardian il 7 settembre 2016.

L’autunno è arrivato presto ad Amsterdam, ma la prima domenica di settembre, un pomeriggio di pioggia lascia spazio a un sole bagnato mentre Ruud Gullit arriva con un’onda di allegria. Il fatto che di questi tempi si parli meno di lui, perfino in Olanda, significa che Gullit è in uno stato d’animo accomodante un’ora prima dell’appuntamento per la nostra intervista abbia. Siccome ha un momento di sosta durante i giri al seguito di una giovane celebrità dello sport, il cui talento non potrebbe mai pareggiare lo splendore di Gullit negli anni ‘80, il grande ex giocatore ha suggerito questo inizio anticipato come un modo per allungare il nostro tempo insieme.

Trentacinque anni fa la scorsa settimana, il primo settembre 1981, il giorno del suo diciannovesimo compleanno, Gullit faceva il suo debutto per l’Olanda. Giocava nell’Harlem e doveva passare ancora una stagione prima che raggiungesse il Feyenoord, dove avrebbe trovato al suo fianco Johan Cruijff. Ora cinque mesi sono passati da quando Cruijff è morto circondato da un fiume di ammirazione per la sua carriera come giocatore e come allenatore. Gullit e Cruijff sono sempre stati più che semplici compagni di squadra. Quando intervistai Cruijff due anni fa, lui insisteva che, come giocatore, aveva lasciato il suo posto al timone del calcio olandese a Gullit – che fra l’altro ha sposato sua nipote. Estelle Cruijff era la terza moglie di Gullit e, dopo il suo matrimonio più lungo, durato 13 anni, parte del suo terzo divorzio.

Nel calcio olandese è cambiato così tanto da quando Cruijff e Gullit erano al loro punto più alto in un periodo che ha coperto almeno un ventennio, dai primi anni ‘70, quando l’Olanda è stata finalista in due edizioni consecutive dei Mondiali e poi anche campione d’Europa. Ma hanno fallito miseramente la qualificazione a Euro 2016 e anche le squadre di club sono l’ombra del loro elegante potere un tempo, esemplificato dall’Ajax. «In Olanda pensiamo ancora di sapere tutto», dice Gullit secco mentre prende un toast al formaggio olandese. «Siamo orgogliosi di noi stessi per quanto eravamo bravi con Cruijff nel 1974. Lo stesso nel 1988 [quando Gullit portò l’Olanda al successo nel Campionato Europeo]. Ma è stato tanto tempo fa. Allora forse non sappiamo tutto. Forse ci serve qualcos’altro». Mette un po’ di rimpianto incontrare Gullit alla fine di un mese nel quale è stato nel cuore dell’ultima soap opera olandese. Dopo aver accettato un’offerta per diventare l’assistente di Danny Blind in nazionale, Gullit ci ha ripensato quattro giorni più tardi. Amid i dettagli caotici sul perché ha rifiutato l’Olanda, quando sembrava determinato a ristabilire il suo pedigree di allenatore, Gullit parla con crescente emozione. «Al momento il calcio olandese è un casino», dice. «Mi fa male perché voglio che l’Olanda vada al Mondiale».

Dopo l’addio di Guus Hiddink, che era stato scelto al posto di Ronald Koeman, Blind è stato nominato ct. Il suo assistente, Dick Advocaat, ha lasciato il posto improvvisamente per andare al Fenerbahçe – e la KNVB (la Federcalcio olandese) ha ripiegato su Gullit, che poi ha litigato con Hans van Breukelen, il nuovo direttore tecnico e un altro dei suoi vecchi compagni di squadra. Van Breukelen ha anche chiesto al team-manager Hans Jossitsma di lasciare, con una decisione cui i giocatori si sono opposti proprio mentre cominciava il cammino dell’Olanda nelle qualificazioni al Mondiale. «Ho trovato molti più problemi del genere ai massimi livelli», sospira Gullit. «Bert van Oostveen, il presidente, si è dimesso anche lui. Così ho detto, se avrete ancora bisogno di me una volta che avrete risolto i vostri problemi, allora tornate da me. Ma non così. Questa è stata un’ottima decisione – per i miei standard – perché il mio cuore diceva sì, ma il mio cervello diceva: ‘Non adesso, Ruud’. Se ti lamenti sempre quando le cose non vanno bene e hai un’opportunità di fare qualcosa, la prendi. Così ho detto: ‘Sì, lo voglio fare.’ Ma ho fatto una domanda: ‘Ora che sono assistente – cosa succederà se Blind se ne va come se n’è andato Hiddink?’ Loro hanno detto: ‘Allora tu prenderai il suo posto.’ Io ho detto: ‘Non con questo contratto, spero.’ E loro: ‘No, certo che no. Discuteremo un nuovo contratto.’ E io ho detto: ‘Bene. Potete mettere questa cosa in questo contratto?’ [Van Breukelen] ha detto: ‘No. Ti devi fidare di me.’ Io gli ho chiesto: ‘Se vieni licenziato, che succede? Devo fidarmi del prossimo?’

«Due giorni dopo Marco van Basten [un altro assistente ed ex compagno di Gullit nel Milan] mi chiama. Dice: ‘Ruudy, devi sapere che sto per lasciare per andare a lavorare alla Fifa.’ L’uomo che stava negoziando con me, stava già negoziando con Marco. Ma non mi aveva detto niente. E vuole che io mi fidi di lui? Ero così fuori di me. Ho detto [a Van Breukelen]: ‘Andiamo! Dovevi dirmelo.’ Perché avrei dovuto farlo? Per 75,000 euro [l’anno]?» L’anno?, chiedo io, visto che somme del genere nel calcio spesso vengono pagate a settimana. «Davvero – un anno!» Gullit ride. «Ho detto: ‘Teneteveli’. Ho preso una decisione molto saggia. Ma ero così deluso».

Nel suo nuovo libro, che offre un intrigante contraltare del sistema e della filosofia di Cruijff, Gullit rifiuta il vecchio amore olandese per il 4-3-3 e trova un tipo differente di bellezza in modi di giocare alternativi, che vanno dal suo personale successo con il Milan maestro del 4-4-2 al disciplinato ordine dell’Atletico Madrid di Diego Simeone. Quando gli chiedo se l’Ajax si sia allontanato dal 4-3-3, Gullit esclama incredulo «No! Il mese scorso hanno giocato a Rostov [nel preliminare di Champions League perso 4-1] e sono stati spazzati via dal campo dalla forza e dalla velocità. È per questo che ho scritto il libro – per provare a essere più aperto mentalmente. L’Ajax dice che dobbiamo giocare a calcio secondo la filosofia di Cruijff. Mi sono detto: ‘Ma è davvero così?’ Quando Johan è diventato allenatore dell’Ajax, chi ha comprato? Ronald Spelbos – un maledetto difensore grande e grosso che ti prendeva a calci e dava la palla da A a B. Lo stesso con Jan Wouters. Chiedete a Paul Gascoigne se conosce Jan Wouters». Lo zigomo di Gascoigne è stato fratturato dal gomito di Wouters in una partita di qualificazione al Mondiale nel 1993 e per mesi lui dovette portare una maschera che lo faceva somigliare al Fantasma dell’Opera. «Certo», sorride Gullit. «Quello è il tipo di giocatore di cui Johan aveva bisogno in mezzo al campo all’Ajax. Quelli erano i primi acquisti chiave – insieme a Danny Blind, un difensore che sapeva anche giocare. Ho detto alla gente dell’Ajax: ‘Dov’è la vostra filosofia di Johan Cruijff adesso? Perché non avete il tipo di giocatori che lui sceglieva?’»

Gullit aveva appena compiuto vent’anni quando cominciò a giocare nel Feyenoord accanto a Cruijff. «Ero più curioso che altro», ricorda. «Lui aveva 36 anni quando è arrivato al Feyenoord. Ci sono stati momenti in cui ho pensato: ‘36? Immagina quanto bravo dev’essere stato a 24’. Mentre giocavamo, lui indicava ai giocatori dove mettersi, dove muoversi, li guidava. Alla fine dell’anno mi disse: ‘Ruud, per il prossimo club in cui andrai, preparati al fatto che alle persone non piacerai più. Devi fare in modo che gli altri intorno a te giochino meglio’. Io ho pensato: ‘Okaaaayyy … Devo ancora stare attento alla mia di carriera. Come posso aiutare gli altri?’ Ma quando sono andato al PSV e poi al Milan, improvvisamente i pezzi del puzzle sono andati a posto. Ricordavo tutto quello che Johan aveva detto».

Cruijff mi aveva detto che era convinto che l’Olanda fosse il “reale” vincitore del Mondiale 1974. Avevano perso la finale contro la Germania Ovest, ma Cruijff sosteneva che è il calcio dell’Olanda a essere rimasto nella memoria. «Non ha senso», protesta Gullit. «A volte in Olanda ci prendiamo in giro da soli. I tedeschi erano molto bravi. Moralmente puoi aver conquistato i cuori della gente. Ma si parla sempre di sollevare trofei. Johan e io abbiamo sempre avuto discussioni perché lui era cresciuto con il 4-3-3. Per lui quella era l’unica strada. Ma io dicevo: ‘Guarda, al Milan abbiamo vinto anno dopo anno con il 4-4-2’. E lui diceva: ‘Sì, ma è perché…’ Ma non c’era “perché”. Come diciamo in Olanda: Ci sono modi diversi di arrivare a Roma. Io dicevo a Johan: ‘Tu puoi giocare il tuo sistema con giocatori molto bravi’. Lui poteva farlo al Barcellona – ma non quando era al Levante [nel 1981]». Cruijff si è reso conto della supremazia del Milan quando, animato dal trio olandese Gullit-Van Basten-Rijkaard vinse la Coppa dei Campioni nel 1989 e nel 1990? «Certo. Ma per lui il calcio è perfetto con il 4-3-3 e lo stile Barcellona».

Nel suo libro Gullit esprime qualche dubbio sul fatto che il Barcellona vincerebbe la Premier League se ogni settimana fosse soggetto alla pressione fisica del calcio inglese. «Non dico che non vincerebbero sicuramente il campionato», chiarisce. «Dico solo che non so se ce la farebbero». Sabato all’ora di pranzo, nel derby di Manchester, José Mourinho e Pep Guardiola si daranno di nuovo battaglia. Guardiola naturalmente è stato investito dell’aura dell’allievo di Cruijff – mentre Mourinho è la sua antitesi. Gullit sorride. «In Olanda è come bestemmiare in chiesa se dico che mi piace al 90% quello che fa José. Il Barça piace a tutti per via di Johan. Mi chiedono: ‘Come puoi dire questo su José?’ Ma io non sono d’accordo al 100% con José. Il restante 5% è perché mi piacerebbe che fosse più avventuroso. Quando è tornato al Chelsea il suo compito era di vincere – ma giocando un buon calcio. Nei primi sei mesi [nel 2014-15] sono stati incredibili. Ma poi ha cominciato a fare calcoli. Questa è la parte di José che mi rende…» Fa una smorfia. «Non posso dire niente sulle vittorie di José – ma avrebbe avuto più grandeur se avesse vinto con più stile. Ora con Pep, è diverso. Attenzione – Pep si deve adattare all’Inghilterra. Non possiamo essere sicuri di come finirà. City, United e e Chelsea finora hanno giocato solo contro le squadre minori. È il periodo della luna di miele e non ho idea di chi vincerà la Premier. È per questo che il calcio inglese è molto interessante per il resto del mondo, perché cinque o sei squadre possono vincere il campionato. Ci sono cinque allenatori che devono vincerlo. Ma solo uno che ci riesce. Come reagiranno le persone – i dirigenti, i tifosi – con quelli che non vinceranno?»

È facile percepire il dolore nelle parole di Gullit, che è stato messo da parte come allenatore. Il suo iniziale successo con il Chelsea nel 1996-97 aveva portato alla conquista della FA Cup nella sua prima stagione. Era il primo grande trofeo del club negli ultimi 27 anni, ma nove mesi dopo venne esonerato, con il Chelsea era secondo in campionato e in corsa in due competizioni. Gullit non lo ha mai superato e la delusione lo ha seguito al Newcastle, al Feyenoor, ai Galaxy e al Terek Grozny. «Certe volte ci rido su», dice. “Ci sono allenatori che non hanno mai vinto niente, ma stanno ancora lavorando. Io ho vinto alla mia prima stagione con il Chelsea e con il Newcastle siamo andati in finale e l’abbiamo persa solo contro il Manchester United. Sono stato giudicato duramente e questo dipende dalla mia personalità perché io dico sempre quello che penso. Ma conosco il calcio. Non devo dimostrare niente». Giovedì scorso ha compiuto 54 anni. Ha voglia di tornare ad allenare? «Se è la cosa giusta, lo farò. Sento di avere ancora molto dentro di me».

Cruijff aveva 68 anni quando è morto a marzo. «Non l’ho visto negli ultimi sei mesi. L’ultima volta è stata a Dunhill [un torneo di golf]. Il cancro era già lì. Ho avuto la sensazione che sapesse che quella poteva essere la sua ultima volta a Dunhill perché era così accanito nel giocare. Ma Johan è sempre stato molto orgoglioso e non ha mai voluto gullitcruyff-cropped_b9aud670h3ri1vedkkhzsbyalla pietà di nessuno. Ho avuto il privilegio e la fortuna di averlo nella mia vita. Gli sono molto riconoscente perché si è preso cura di me. Abbiamo anche avuto un sacco di litigi, perché lui riconosceva la mia opinione – anche se Johan voleva sempre avere ragione. Era come un ragazzo genio di 12 ani che deve andare all’università perché è più intelligente dei professori. Pensava talmente tanti passi più avanti, che per molte persone era difficile seguirlo. Johan era unico». Come Cruijff, Gullit ha vinto il Pallone d’Oro da giocatore. La sua carriera di allenatore manca dello spessore di quella di Cruijff ma, come Gullit puntualizza nella luce calante di questo pomeriggio autunnale, lui ha la sua personale consolazione. Sentendo di aver sbagliato come padre dei suoi sei figli, adesso si prende cura da solo del suo figlio quindicenne Maxim. «Negli ultimi due anni e mezzo mio figlio ha vissuto con me. Sono un padre a tempo pieno. Viaggio di meno. Un giorno alla BBC. Al massimo cinque giorni in Qatar e in quel caso lui va dalla nonna. Ma questo è tutto. Ho avuto momenti in cui sono stato molto infelice nella mia vita privata. Non ora. Una delle ragioni per cui non sono stato nel calcio negli ultimi tre anni è perché ho detto: ‘No. Voglio esserci per mio figlio.’ Quando pensi a da dove sono venuto, è ovvio. Questo sacrificio è la più grande vittoria di tutta la mia vita».

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